L’11 febbraio scorso, su RAI 3, è andata in onda una puntata della trasmissione televisiva Report dal titolo: “Sanità a fondo” . Ci si aspettava qualche reazione, magari non polemica, ma tale da riaprire il dibattito, mai inattuale, sui Fondi sanitari integrativi (FSI) e sulla necessità di riformarli e regolamentarli. Invece c’è stato un silenzio assordante. In un ambito così delicato e importante per la vita di tutti gli italiani quale l’assistenza sanitaria integrativa, AIO ha prodotto incontri ed audizioni in Senato la scorsa e questa legislatura, ed un position paper. Quest’anno Associazione Italiana Odontoiatri ha istituito una Commissione Permanente di Studio sul fenomeno dei Fondi Integrativi. Ne fanno parte oltre al Segretario Sindacale Danilo Savini, l’ex Vice Presidente nazionale AIO Eleonora Cardamone, Generoso Del Piano (AIO Na), Graziano Langone (già relatore in audizione sul Piano Odontoiatrico Nazionale AIO nel 2016), l’ex Segretario nazionale AIO Gaetano Memeo, ed Ignazio Pizzo (AIO Pa). Il collegio ha deciso non solo di proporre, attualizzandole, le posizioni dell’Associazione, ma di scrivere a beneficio dei Soci una disamina particolareggiata delle trasformazioni in corso nel Welfare sanitario italiano. Due articoli, anzi due “puntate”. La prima tratta delle coperture dei Fondi Sanitari Integrativi ed Assicurative nel panorama della sanità italiana; FSI ed Assicurazioni sono davvero secondo e terzo pilastro del SSN? La seconda puntata formula idee per rivedere il settore, in particolare nell’ambito delle cure odontoiatriche.

di Ignazio Pizzo* e Danilo Savini

Prima della nascita dell’attuale Servizio Sanitario Nazionale (SSN), che l’anno scorso, il 23 dicembre, ha compiuto ben 45 anni, il sistema sanitario italiano era di tipo “Bismarck”, basato cioè su diversi enti mutualistici, detti anche “casse mutue”; si trattava di un sistema con una struttura di tipo mutualistico-assicurativo, che prendeva spunto dal sistema previdenziale istituito dal famoso cancelliere tedesco. Ancora oggi, tra colleghi – supponiamo i soli “boomers”– così come tra i nostri nonni o i nostri anziani genitori quando si parla delle prestazioni erogate dalle strutture sanitarie pubbliche, si dice che sono passate dalla “cassa mutua”.

La nascita nel 1978 del SSN, rappresentò per la sanità italiana una vera rivoluzione, perché fu adottato un modello di welfare state di tipo universalistico. L’assistenza sanitaria veniva ripensata come un diritto sociale, indipendentemente dalla condizione lavorativa del cittadino, e pertanto veniva finanziata dalla fiscalità generale, e non più dall’iscrizione dei lavoratori alle molteplici casse mutue.

Il SSN, già alla sua nascita, aveva previsto la possibilità di integrare le prestazioni sanitarie facendo ricorso ad assicurazioni private oppure a forme di mutualità volontaria. Fin dagli anni ’90, con la nascita dei Fondi di Assistenza Sanitaria integrativa o Fondi Sanitari Integrativi, il legislatore pensava ad una sanità che dovesse integrare le prestazioni e i servizi offerti in misura minore dal SSN, o addirittura non erogati, come ad esempio le protesi acustiche, gli occhiali da vista e le terapie odontoiatriche. Gli odontoiatri italiani hanno rappresentato la libera professione sanitaria che ha avuto più a che fare con i Fondi (FSI).

In questi ultimi anni, in cui i FSI si sono attestati nel coprire dal 10 al 15% delle prestazioni “out of pocket“, ovvero pagate di tasca propria dai cittadini, si sono palesati i limiti e le potenzialità delle forme di assistenza sanitaria integrativa. La sanità integrativa collettiva, rappresentata non solo dai FSI, ma anche dalle società di mutuo soccorso e altre casse ed enti no profit, in origine era stata concepita per affiancare il “primo pilastro” della sanità, ovvero il SSN, che eroga i cosiddetti Livelli essenziali di assistenza (LEA), e doveva pertanto rappresentare il “secondo pilastro” dell’offerta sanitaria degli italiani, lasciando alle polizze assicurative sanitarie private, stipulate su base volontaria, la funzione di “terzo pilastro“. I soggetti operanti nell’ambito del secondo e terzo pilastro della sanità italiana rappresentano quindi i “terzi paganti”, ovvero svolgono un ruolo di intermediazione economica tra lo stato, che ha il dovere costituzionale di garantire la salute dei suoi cittadini, e questi stessi. Ma i FSI non si sono limitati ad offrire servizi, attività e prestazioni sanitarie integrative (o complementari) ai LEA, ma ne hanno offerte anche di aggiuntive (o supplementari), o addirittura sostitutive (o duplicative) rispetto alle prestazioni sanitarie erogate dal SSN. Anzi questa tipologia di prestazioni, per legge, può rappresentare fino all’80% di quelle erogate dagli stessi.

Per garantire una mole sempre più ampia di prestazioni, i FSI, che oggi sono più di 300, hanno stipulato accordi con assicurazioni private, come Unisalute, Generali, Allianz, RBM Salute, giusto per citarne le più importanti, le quali sono diventate i veri gestori dei Fondi, ed essendo enti profit, questa commistione tra secondo e terzo pilastro della sanità italiana, ha creato non poche storture e differenze tra i lavoratori. Essere enti profit significa che le assicurazioni investono a rischio fondi che il cittadino intende diretti alla propria salute, cosa che non possono per legge fare i FSI. Come bene sottolineato dal servizio di Report, ad esempio, tra il fondo sanitario integrativo dei lavoratori metalmeccanici (tra i FSI quello con più iscritti) e quello dei dipendenti ministeriali, c’è una differenza abissale per tipologie di servizi e prestazioni erogati, per le franchigie e scoperture applicate, per le tempistiche e modalità di approvazione delle pratiche.

Questo significa che con l’avvento dei FSI, i principi fondanti del SSN, ovvero universalità, uguaglianza, equità e solidarietà, già fortemente indeboliti dal regionalismo sanitario e dai tagli effettuati negli ultimi due decenni ai finanziamenti della sanità pubblica, sembrano sempre di più concetti utopistici e difficilmente applicabili, in particolare per i cittadini delle fasce meno abbienti. Abbiamo di nuovo una notevole fascia di popolazione alle prese con gli interminabili tempi di attesa, l’affollamento dei pronto soccorso, l’aumento della spesa privata, l’impossibilità di trovare un medico o un pediatra di famiglia vicino casa, le inaccettabili diseguaglianze regionali e locali, e la migrazione sanitaria.

La “rivoluzione” del 1978 della sanità italiana, di cui parlavamo all’inizio di questo articolo, sembra oggi volersi cancellare con un pericoloso tentativo di “restaurazione”. Ovvero pare si stia tornando alle “casse mutue” dei nostri nonni, quando ciascun ente mutualistico era competente per una determinata categoria di lavoratori che, insieme ai familiari, vi erano obbligatoriamente iscritti e, in base ai contributi versati da essi e dai loro datori di lavoro, avevano una copertura sanitaria maggiore o minore. Il diritto alla tutela della salute, era dunque garantito dallo status di lavoratore e di copertura assicurativa della cassa mutua, e ciò portava alla mancata copertura di chi non lavorava e dei suoi familiari, nonché a disomogeneità e sperequazioni tra gli assistiti, in base alle prestazioni assicurative garantite dalle casse. Per riassumere, torniamo a cittadini di serie A, B e C.

Altra criticità rilevata nell’ambito della questione dei fondi sanitari, è che l’Anagrafe dei Fondi Sanitari, istituita dal Ministero della Salute, non è pubblicamente consultabile, e solo dal 2018 viene pubblicato un report, con dati esigui e non esaurienti, e l’ultimo report, il secondo pubblicato, è ormai obsoleto, perché relativo all’anagrafe 2020, ovvero all’anno fiscale 2019. Benché due recenti Decreti ministeriali abbiano espanso il dataset, i dati raccolti dall’Osservatorio Nazionale Permanente dei FSI non sono accessibili con modalità open access. Se a questo si aggiunge un impianto normativo frammentato e incompleto, ancora oggi si comprende facilmente che la deregulation del settore, con la sua espansione incontrollata, sta portando il secondo pilastro della sanità italiana (i Fondi), anche a causa della commistione nefasta con il terzo pilastro (Assicurazioni), ad essere una delle determinanti della crisi della sostenibilità del SSN. Anziché supportare la zoppicante sanità pubblica, missione per cui era stata concepita negli anni ’90, la sanità integrativa ne sta aggravando il declino.

Ma i Fondi sanitari e le assicurazioni convenzionate con essi, che alla fine finiscono praticamente per essere i veri dominus del secondo pilastro della sanità italiana, quanto guadagnano dall’assistenza sanitaria integrativa? I FSI consentono di detrarre dal reddito di lavoro dipendente i contributi versati per iscriversi ad essi fino a un tetto di euro 3.615,20. La detrazione delle spese sanitarie è riconosciuta anche per quelle soggette a rimborso per effetto della sottoscrizione di fondi o polizze sanitarie: nel caso di fondi non convenzionati con le assicurazioni però, la detraibilità riguarda solo la parte non rimborsata dal fondo; nel caso, di prestazioni erogate dalle assicurazioni convenzionate invece, la detraibilità riguarda anche la spesa rimborsata dall’assicurazione. Questo doppio vantaggio fiscale per il sottoscrittore di Fondi/Assicurazioni sanitarie, è un altro dei motivi per cui sempre più spesso i Fondi si convenzionano con le assicurazioni. Inoltre, sono previsti benefici fiscali per le imprese che erogano premi di risultato sotto forma di prestazioni di welfare aziendale (inclusa l’assistenza sanitaria integrativa) a favore dei dipendenti. Secondo recenti stime, le detrazioni al 19% delle spese sanitarie e le deduzioni dei contributi sanitari da sottoscrizione di fondi, avrebbero un impatto simile per ordine di grandezza, valutabile nella cifra record di circa 3,4 miliardi di euro per ciascuna delle due tipologie di agevolazioni. Ne consegue che, anche per le ricadute per la finanza pubblica, il sistema degli incentivi fiscali in ambito di sanità integrativa andrebbe rivisto per non aggravare il debito pubblico.

Altra criticità dei Fondi, è legata alle differenze tra le due modalità di erogazione delle prestazioni:

• L’assistenza indiretta, sempre meno garantita, che consiste nel rimborsare, in toto o parzialmente, il beneficiario del fondo, nel momento dell’utilizzo delle prestazioni previste dal contratto, lasciando al medesimo la totale libertà di scelta del curante. Cioè garantendo il rapporto libero medico-paziente che è la base della moderna medicina non paternalistica.

• L’assistenza diretta, che consiste nell’indirizzare l’iscritto al fondo presso le proprie cliniche/ambulatori, o verso professionisti convenzionati (assistenza convenzionata), con i quali è stato sottoscritto un contratto (convenzione). Proprio attraverso questa seconda modalità, i Fondi, tramite le assicurazioni sanitarie, lavorano spesso per acquistare prestazioni a prezzi calmierati dai professionisti, cercando una pseudo resa economica, che mal si concilia con il concetto di buona sanità. Il rischio, invece, che si è dimostrato reale e che continuamente i colleghi segnalano, è infatti quello di fenomeni come: l’ingerenza nei piani di trattamento dei professionisti (con rischio di esercizio abusivo della professione nel momento in cui piani terapeutici dei pazienti possono essere valutati anche da personale amministrativo o igieniste o ASO, con i problemi relativi al mancato rispetto delle norme della privacy, che ne conseguono); l’esclusione dai nomenclatori tariffari di alcune prestazioni estremamente importanti per una cura precoce delle patologie più frequenti; il ricorso ad artifici burocratici per ritardare i rimborsi; la poca attenzione verso gli interventi di prevenzione (cioè il solo reale investimento ad alta redditività prospettica che uno Stato civile possa fare in termini di salute). Alla fine si riscontrano una resa maggiore per i Fondi e una spesa maggiore per la sanità pubblica, che si ritrova, per assurdo, integrativa delle prestazioni dei FSI per le patologie non coperte da essi o aggravate da questo sistema non basato su principi medici.

Le problematiche emerse in ambito di sanità integrativa, non riguardano solo gli operatori sanitari, ma anche gli utenti-pazienti. Dall’analisi dei reclami degli assistiti dei FSI, emergono spesso criticità riconducibili a scarsa chiarezza delle condizioni contrattuali, a carenze nell’informativa precontrattuale (manchevolezza per lo più addebitabile ai datori di lavoro che stipulano coperture collettive), a difficoltà e ostacoli di vario genere nell’apertura delle posizioni, nella richiesta di informazioni sulle modalità di attivazione delle prestazioni o sullo stato di trattazione delle pratiche.

Il quadro fin qui esposto, ad una lettura superficiale, potrebbe dare l’impressione che la sanità integrativa sia stata del tutto fallimentare, e che bisognerebbe abolirla in toto; ma nel prossimo articolo sull’argomento, presenteremo le proposte di AIO per la riforma dei FSI, a partire dalla distinzione ontologica tra secondo e terzo pilastro della sanità. Ragioneremo su come valorizzare gli aspetti positivi dei Fondi ed esporremo soluzioni per risolvere le criticità emerse in questi anni nell’assistenza odontoiatrica.

*Segretario Sindacale AIO Palermo

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