Niente contributo a fondo perduto per i professionisti operanti negli studi associati. Con la circolare 22/E emanata dall’Agenzia delle Entrate lo scorso 21 luglio è stata fornita l’ennesima interpretazione con “licenza di legiferare” dall’Amministrazione. Il tema è la spettanza o meno del contributo per le associazioni professionali, intese come studi associati. L’articolo 25 del D.L. 34/2020 (c.d. Decreto Rilancio) in una infelice formulazione esclude dal contributo i professionisti. O meglio, include al comma 1 tutti “i soggetti esercenti l’attività […] di lavoro autonomo […] titolari di partita Iva” salvo poi escluderli al successivo comma 2. Quest’ultimo dispone infatti che “il contributo a fondo perduto […] non spetta […] ai professionisti iscritti agli enti di diritto privato di previdenza obbligatoria”.

Nulla veniva detto sulle associazioni professionali. A creare una vana speranza era stata però la stessa Amministrazione nella circolare 15/E dello scorso giugno dove aveva inserito le associazioni professionali,  “di cui all’articolo 5, comma 3, lettera c, del TUIR che esercitano arti e professioni, producendo reddito di lavoro autonomo ai sensi dell’articolo 53 del TUIR”, tra i soggetti ammissibili al contributo. L’Agenzia aveva poi anche fornito un’interpretazione estensiva per i soci di STP (come nel caso di odontoiatri), precisando che la stessa STP poteva richiedere il contributo a fondo perduto anche se i suoi soci erano iscritti a enti di diritto privato di previdenza obbligatoria, condizione di esclusione prevista dal comma 2 dell’articolo 25 del DL 34/2020. Ecco però l’ennesima “giravolta interpretativa”: come si legge alla risposta 2.10 della circolare 22/E di ieri, le associazioni professionali non sono incluse tra i fruitori del contributo in quanto composte da soggetti iscritti a enti di diritto privato di previdenza obbligatoria. Siccome, dice l’Agenzia, gli studi associati sono privi di autonomia giuridica rispetto ai singoli associati, poiché questi ultimi sono esclusi dal contributo, automaticamente lo sono anche le associazioni professionali.

«La posizione dell’Agenzia delle Entrate, a nostro parere, è assolutamente criticabile», spiegano Alessandro ed Umberto Terzuolo dello Studio Terzuolo Brunero & Associati. «Lo studio associato, come da consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione ribadita da ultimo nella sentenza n. 8768 del 10.4.2018, sebbene privo di personalità giuridica, “rientra a pieno titolo nel novero di quei fenomeni di aggregazione di interessi […] cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomi centri di imputazione di rapporti giuridici”. Quindi, le condizioni dei singoli soci non dovrebbero essere preclusive per l’accesso al contributo da parte degli studi associati. A supporto ci sarebbe anche la risposta 2.11 (successiva a quella sugli studi associati…) che la stessa Amministrazione ha fornito nella circolare 22/E: qui, l’Agenzia ammette al contributo le società commerciali (nello specifico una s.a.s., priva di autonomia giuridica ma considerata come centro di imputazioni giuridiche soggettive) anche se i loro soci versano in una delle condizioni preclusive di cui al comma 2 dell’art. 25. È inutile sottolineare il senso di sconforto che si può provare di fronte ai tanto attesi aiuti a pioggia che poi, alla fine, non arrivano mai semplicemente per cavilli normativi frutto di interpretazioni “bipolari” dell’Agenzia e non di norme chiare. Purtroppo, essendo la stessa Agenzia il soggetto destinatario delle domande sul contributo a fondo perduto, tentare ora, alla luce della circolare di ieri, una presentazione dell’istanza risulterebbe inutile e potenzialmente anche dannoso, viste anche le sanzioni amministrative e penali che verrebbero irrogate per l’indebita percezione».

Del tutto insoddisfatto Fausto Fiorile Presidente Associazione Italiana Odontoiatri: «In pratica, il contributo a fondo perduto è disegnato sui lavoratori autonomi e sulle partite Iva, ma a patto non siano iscritti a casse professionali ed esclude studi associati privi di personalità giuridica. Un’assurdità che corre il rischio di avvantaggiare le sole società di capitali e catene in franchising. E’ inammissibile che siano esclusi professionisti che operano da sempre sul territorio con serietà e deontologia. Unica nota positiva è che le Società tra Professionisti siano incluse in questa opportunità».

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