Sul sito AIO, in data 26/11/2007, è stato pubblicato un mio scritto inerente il tema degli incassi accentrati delle strutture sanitarie private, dove ho avuto modo di esporre che l’opinione dell’Agenzia delle Entrate sull’interpretazione di una norma non ha forza di legge e non è quindi una fonte di diritto.

Ora la sentenza n. 23031 del 2 Novembre 2007 delle sezioni unite della Cassazione (la Corte Suprema) ribadisce questo concetto. Tale sentenza è di grande interesse.
In buona sostanza, dice la Cassazione, le Circolari dell’Agenzia delle Entrate non solo, come era del resto ovvio, non costituiscono fonte di diritto, ma non hanno maggior peso rispetto all’opinione del contribuente.

Infatti chi deve interpretare le norme di legge è, in prima battuta, il contribuente stesso il quale effettua le proprie dichiarazioni (di redditi o altro) ed è quindi il primo interprete delle leggi tributarie.
L’Agenzia delle Entrate (l’Amministrazione Finanziaria) è, sì, un interlocutore naturale, ma “di parte” e non può quindi assolvere alcun ruolo “super partes” né quindi avere alcun peso diverso da quello della controparte (il contribuente appunto).

Le Circolari del Ministero (Agenzia delle Entrate) non vincolano il contribuente che pertanto è liberissimo di adottare comportamenti ad esse contrari, se naturalmente interpreta diversamente (assumendosene i rischi) la norma di legge.

Ma la citata sentenza si spinge addirittura oltre, per sostenere che le Circolari dell’Agenzia delle Entrate non vincolano nemmeno gli uffici fiscali ai quali, pertanto, non è vietato non applicarla (anche se francamente questa mi pare una eventualità più teorica che pratica poiché penso che nessun responsabile di un ufficio fiscale si voglia prendere il “mal di pancia” di disapplicare una disposizione emanata dai suoi superiori).

Ciononostante il senso della sentenza è importante perché ribadisce che non possa essere dichiarato illegittimo il comportamento contrario alle direttive dell’Agenzia delle Entrate, non solo da parte del contribuente, ma anche da parte di un qualsiasi ufficio del fisco.

Quindi è la legge che deve essere interpretata, è la legge che deve essere rispettata e ciascuna delle due parti (cittadino contribuente e Agenzia delle Entrate) è liberissima di farlo a modo suo assumendosene, come ovvio, le conseguenti responsabilità.

E chi stabilirà quindi chi ha ragione e chi torto e cioè chi ha interpretato correttamente e chi no le norme di legge?
I Giudici e solo essi. Tutti i Giudici competenti, Commissioni Tributarie in testa.

A questo punto è opportuno citare un’altra importante sentenza: quella della Consulta, il Giudice delle leggi, (vedasi il Sole 24 Ore del 9 Settembre 2007). In questa sentenza di massimo grado è stato precisato che la RISPOSTA all’interpello (quesito posto dal contribuente all’Agenzia delle Entrate), fornita dall’Agenzia delle Entrate NON OBBLIGA IL CONTRIBUENTE AD UNIFORMARVISI ma deve considerarsi nulla più di un “MERO PARERE” e come tale non vincolante.

Quindi, dicono le Supreme Corti, il contribuente resta libero di disattendere sia i pareri dell’interpello dell’Agenzia delle Entrate sia le Circolari della stessa. Ciò naturalmente non significa che il contribuente avrà ragione né che avrà torto. Saranno, come detto, i Giudici (in primis le Commissioni Tributarie) a stabilire chi avrà correttamente interpretato le norme tributarie e chi no.

Non dimentichiamo comunque che la statistica dice che molto spesso i giudici Tributari danno torto all’Agenzia delle Entrate.

Veniamo ora al caso pratico: quello degli incassi accentrati delle strutture sanitarie private, argomento dell’articolo apparso sul sito AIO in data 26/11/2007.

Nel suddetto articolo credo di avere espresso con chiarezza la mia opinione, che naturalmente può anche essere sbagliata (così come del resto può esserlo quella dell’Agenzia delle Entrate).
La citata sentenza ribadisce però che il contribuente è libero di comportarsi come ritiene legittimo che si debba fare.

Quali, nel caso in esame, le sanzioni se i Giudici danno torto al contribuente che non si uniforma alle Circolari e all’interpello dell’Agenzia delle Entrate sull’argomento?
La struttura sanitaria sarà soggetta, come previsto dall’art. 9 D. Lgs. 18/12/1997 n. 471, alla sanzione amministrativa da € 1.033,00 ad € 7.747,00.

Per l’omessa trasmissione telematica dei compensi, come previsto dall’art. 11 comma 1 lettera a dello stesso D. Lgs. 471/1997, la sanzione amministrativa va da € 258,00 a € 2.066,00. Ad oggi però, nelle more di emanazione di un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate su modalità e termini di comunicazione, tali ultime sanzioni (da € 258,00 a € 2.066,00) non sono applicabili (in quanto non si è tenuti alla comunicazione telematica).

Vorrei osservare che, nei casi dubbi, vale il disposto dell’art. 10 della legge del 27 luglio 2000, n. 212 (tutela dell’affidamento e della buona fede. Errori del Contribuente, contenuto nello Statuto del Contribuente) che recita testualmente:
“Le sanzioni NON sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma Tributaria o quando si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito di imposta”.

Nei casi quindi di dubbia applicazione della norma (dentisti, associazioni senza fini di lucro etc.) è mia modesta opinione che le Commissioni Tributarie, ammesso che diano torto al contribuente, potrebbero anche dichiarare non applicabile la sanzione o comunque applicarla al minimo (€ 1.033,00).

Da ultimo, molto pacatamente, vorrei fare un appello rivolto alle Associazioni di categoria e ai professionisti della consulenza fiscale: non appiattiamoci passivamente sulle interpretazioni (a volte non condivisibili) dell’Agenzia delle Entrate. Se si ritiene di essere nel giusto mi pare doveroso combattere le battaglie.

Naturalmente il cittadino contribuente deve essere da noi consulenti correttamente ed esaustivamente informato sui rischi che corre e deve poter decidere, in piena autonomia e consapevolezza, se seguire una via piuttosto che un’altra. Del resto il rischio non è soltanto quello di pagare delle multe ma anche quello di sostenere (come nel caso in esame) dei rilevanti costi in più che nessuno rimborserà e anche di peggiorare lo studio di settore.

dr. Marcello Terzuolo
Commercialista in Torino

Contattaci

Utilizza il form sottostante per entrare in contatto con noi.

I campi contrassegnati con * sono obbligatori.





    Dichiaro di aver ricevuto, letto e compreso l’informativa sulla privacy ai sensi del Reg. UE 2016/679 (Art. 13) e presto il consenso al trattamento dei miei dati personali *

    Esprimo in modo consapevole e libero il consenso al trattamento per le seguenti finalità:
    Finalità 3.1
    Do il consensoNego il consenso
    Finalità 3.2
    Do il consensoNego il consenso
    Finalità 3.3
    Do il consensoNego il consenso