Durante la polemica di questi giorni sull’atteggiamento della Chiesa riguardante la riduzione del contagio dell’AIDS con la castità, si è svolto a Roma, il 19 marzo, l’HIV Summit Italia 2009.
L’AIO ha partecipato all’evento, non solo dando il patrocinio, ma anche con la presenza di una delegazione.
Alla presenza del Senatore Antonio Tommassini (Presidente Commissione Igiene e Sanità del Senato della Repubblica), dell’On. Gianni Mancuso (Segretario Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati), del Prof.or Enrico Garaci (Presidente Istituto Superiore di Sanità) e moderati dalla Dott.ssa Manuela Lucchini (Giornalista Scientifico TG1) i vari relatori hanno monitorato l’attuale volto dell’AIDS in Italia e nel Mondo, sottolineato l’importanza della diagnosi precoce e soprattutto della prevenzione.
In Italia nel 1995 si è raggiunto il picco massimo di nuovi casi di AIDS, ma dopo una ottima campagna di informazione (tramite spot pubblicitari su televisione, quotidiani, riviste, interventi nelle scuole, etc) si è avuta una riduzione. Oggi i nuovi casi di AIDS si sono stabilizzati intorno a circa 2000 nuovi casi l’anno (con percentuali più alte al nord, mentre le regioni più colpite risultano Lazio e Lombardia).
Le caratteristiche del soggetto cui viene posta oggi la diagnosi di infezione da HIV sono molto differenti rispetto a quelle del passato, sia in termini epidemiologici che clinici. In particolare, è noto che attualmente il paziente di nuova diagnosi vede con sempre maggiore frequenza la trasmissione sessuale come modalità di contagio.
L’infezione non è più prerogativa di gruppi definiti e controllati, come i tossicodipendenti, o forniti di una particolare sensibilizzazione al problema, come gli omosessuali. La trasmissione sessuale in genere, ed eterosessuale in particolare, con le sue complesse valenze sociologiche, appare essere il “trait d’union” verso la popolazione generale. A ciò si associano alcuni aspetti, che sono al tempo stesso causa e conseguenza della situazione epidemiologica recente:
– Disinformazione della popolazione generale: difficilmente quantificabile e solo stimabile sono le persone infette inconsapevoli del proprio sierostato e altre che decidono di non rilevarlo. Queste caratteristiche portano alla sottovalutazione del proprio rischio di infezione e sono tra le cause del ritardo diagnostico.
– Scarsa attenzione da parte degli operatori sanitari. Il 70% dei pazienti HIV+ sono asintomatici. I sanitari attraverso l’anamnesi e l’esame clinico, dovrebbero consigliare ai propri pazienti il test. Mentre la realtà ci da dei valori differenti, infatti solo al 19% dei pazienti HIV+ è stato consigliato da un sanitario di effettuare il test!
– Cattiva individuazione delle popolazioni attualmente target dell’infezione (maschi vs femmine, giovani vs età media, eterosessuali vs omosessuali, italiani vs stranieri, etc).
A ciò si devono aggiungere alcuni aspetti epidemiologici attuali a loro volta causa di un’ulteriore amplificazione del problema della trasmissione “sommersa”:
– la maggior efficienza di trasmissione tra i soggetti inconsapevoli,
– l’incremento degli immigrati da zone ad alta endemia.
In conseguenza degli aspetti sopra menzionati e in condizioni in cui l’epidemia da HIV in Italia appare sostanzialmente fuori controllo (non esiste un sistema nazionale di notifica delle nuove diagnosi di infezioni da HIV, tranne in qualche regione), appare necessario uno sforzo coordinato per favorire la corretta informazione sia degli operatori sanitari, che della popolazione generale, in particolare sull’indicazione e l’offerta del test e sugli obiettivi e risultati della terapia precoce.
Secondo UNAIDS e OMS alla fine del 2007 nel mondo i bambini con infezione da HIV erano circa 2 milioni e la trasmissione verticale era responsabile di più del 90% dei casi.
A livello mondiale esistono “due scenari” per l’infezione da HIV in età pediatrica.
Quello dei paesi industrializzati dove il tasso di trasmissione si è ridotto a meno del 2% grazie alle misure preventive (farmacologiche, taglio cesareo elettivo, allattamento artificiale) e dove i bambini HIV infetti hanno accesso ai farmaci antiretrovirali e quello dei Paesi in via di sviluppo dove ogni giorno circa 1000 neonati si infettano col virus HIV e dove l’accesso alle cure è limitato ed in ogni caso iniziato tardivamente.
In Italia 1 madre su 1000 è HIV + (dati al dicembre 2007).
Per poter riflettere su come affrontare il problema dello stigma (il pregiudizio negativo nei confronti delle persone sieropositive) è opportuno svolgere alcune operazioni propedeutiche:
– definire se e quanto siano presenti, oggi , stigma e pregiudizi verso le persone sieropositive
– capire in che modo essi si caratterizzino ed articolino
– comprendere quali siano le ragioni sociali che li supportano
– capire quali siano le ragioni psicologiche che li rinforzano.
Solo a partire da queste riflessioni sarà possibile proporre una linea di azione per contrastare questi fenomeni.
A livello sociale lo stigma sembra essere veicolato da diversi attori:
– la collettività nel suo complesso, con particolare riguardo ai giovani, rifiuta l’idea di potersi ammalare, cerca di trovare un atteggiamento “colpevole” che spieghi perché una persona contrae il virus dell’HIV e cerca di ridimensionare il problema “classificandolo” per allontanarlo da sé.
– i mass media; gli organi di stampa parlano di AIDS solo quando possono fare notizia (come in questi giorni dopo gli atteggiamenti della Chiesa sul condom).
– il mondo del lavoro; CGIL ha denunciato l’uso del test Elisa come condizione per avere accesso ad un impiego, nonostante la legge italiana (135/90) lo vieti espressamente; sono noti casi di grandi aziende che hanno introdotto il test giustificandolo con la necessità di garantire la sicurezza del cliente senza alcuna logica.
– i medici; lo stigma dei medici che non vogliono curare: sono riportati casi di pazienti sieropositivi respinti da medici o da odontoiatri, che semplicemente si sono rifiutati di curare persone con HIV. Alcune associazioni di pazienti denunciano gravi casi di discriminazione del mondo medico. Il problema è serio: se gli stessi medici vivono la sieropositività come una malattia diversa dalle altre diventa difficile puntare su questa categoria per svolgere la necessaria opera di informazione ai cittadini. I Pazienti HIV+ asintomatici sono molti e gli operatori sanitari (MMG, Odontoiatri, Dermatologi, Ginecologi, MTS, PS) devono essere particolarmente sensibili in quando hanno la maggior probabilità di incontrare per primi i soggetti infettivi.
– gli stessi pazienti sieropositivi; sicuramente si rischia ancora molto a rendere pubblico il fatto di essere sieropositivi: la perdita del posto di lavoro, della famiglia, della rete sociale di aiuto, emarginazione sociale. Anche se meno di un tempo, ci sono ancora oggi persone che vengono cacciate di casa, donne o uomini sposati che si ritrovano da soli ad affrontare l’infezione, lasciati dai rispettivi coniugi per il timore del contagio.
Il pregiudizio, lo stigma, sono fenomeni difficili da combattere, hanno motivazioni culturali e psicologiche difficili da rimuovere. L’intervento dovrebbe muoversi a quattro livelli: culturale, psicologico, comportamentale e “politico”.
A livello culturale è necessario intervenire perché il collegamento AIDS – comportamenti sociali riprovevoli sia definitivamente superato.
A livello psicologico è importante riuscire a trasmette il concetto che l’AIDS si cura, che è importante accedere alle cure non tardivamente, che fare il test non è l’anticamera della morte, che sapere di essere sieropositivi per tempo aiuta a vivere meglio a lungo, che oggi proteggersi è una responsabilità di tutti nei confronti di tutti.
A livello comportamentale un ostacolo più difficile da rimuovere è il convincimento dei giovani che l’uso del preservativo sia assurdo perché toglie molto piacere nel rapporto: è una posizione sempre diffusa, che trova rinforzo nell’idea che tanto l’AIDS non è più un vero problema e che dunque la rinuncia non vale la candela.
A livello politico è necessario che tutti, ma soprattutto le associazioni dei pazienti, assumano un approccio meno corporativo, accettando che l’AIDS dal punto di vista clinico è diventata una malattia come altre, per concentrare le loro risorse sulla lotta ai pregiudizi ed allo stigma, in tutte le sedi, congressuali e non.
Quindi in conclusione i messaggi che bisognerebbe diffondere sono:
– uso del preservativo per i rapporti con partner occasionali,
– le persone che hanno avuto rapporti senza protezione devono effettuare i test non solo per evitare di essere una fonte inconsapevole di rischio per gli altri, ma per entrare prima in terapia e non in uno stadio avanzato di immunosoppressione,
– informare i medici e odontoiatri della propria sieropositività per evitare contagi,
– i medici e odontoiatri non devono discriminare i pazienti ma trattarli e avere massima fiducia del paziente HIV+,
– attuare una campagna pubblicitaria continua di informazione.
Messaggi che bisogna diffondere con continuità con mezzi adeguati per raggiungere tutte le diverse tipologie di popolazione.
Giovanni Migliano
Presidente AIO Lazio