Una volta superata l’eccezione di prescrizione del diritto degli specializzandi sollevata dalla controparte, la Corte di Cassazione ha osservato che la circostanza, acclarata, che i medici avessero frequentato le scuole di specializzazione nel periodo di ritardata attuazione della direttiva, così come di fatto erano allora organizzate, lascia presumere, che essi le avrebbero frequentate anche nel diverso regime conforme alle prescrizioni comunitarie. Quindi, il danno ad essi derivato dalla mancata attuazione del diritto comunitario è consistito nella perdita di una possibilità della quale essi avrebbero presumibilmente approfittato, ossia in sostanza un danno da perdita di chances. (Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net)

Sentenza del 11-03-2008, n. 6427

Omissis

Svolgimento del processo

P.S.R. e gli altri consorti indicati in epigrafe, premesso di essersi specializzati, quali medici, fra il 1983 e il 1987 presso varie scuole universitarie, dedicando alla formazione specialistica la propria attività professionale per tutta la durata dei rispettivi corsi, senza percepire una adeguata retribuzione, in contrasto con quanto previsto dalle direttive CEE 75/362, 76/363 e 82/76, tardivamente attuate dallo Stato italiano solo con il D.Lgs. n. 257 del 1991, hanno citato in giudizio davanti al Tribunale di Roma, la Repubblica italiana, il Ministero dell’Università, il Ministero della sanità e il Ministero del Tesoro chiedendone la condanna a corrispondere loro la adeguata remunerazione contemplata nella direttiva CEE 82/76, in misura pari a quella della borsa di studio prevista dal D.L.gs. n. 257 del 1991, art. 6 ovvero a risarcire il danno provocato dalla ritardata attuazione della direttiva in ulteriore subordine, a pare loro un indennizzo per arricchimento senza causa.

Nella resistenza della parte convenuta, costituitasi solo all’udienza di trattazione, il primo giudice ha considerato tempestiva e fondata l’eccezione di prescrizione proposta dalla parte convenuta ed ha rigettato la domanda. La decisione di rigetto, sia pur con diversa motivazione, è stata confermata dalla Corte d’Appello di Roma.

In motivazione il giudice di merito ha osservato che, prima del loro recepimento nell’ordinamento italiano, le direttive invocate dai ricorrenti non erano automaticamente applicabili nella parte relativa alla erogazione di una adeguata remunerazione, la determinazione della quale era stata rimessa dal legislatore comunitario a quello nazionale. D’altra parte, non vi era stata discriminazione fra gli interessati in relazione alla data di ingresso nelle scuole di specializzazione perchè per gli iscritti dopo il decreto di recepimento al compenso corrispondeva un diverso e maggiore impegno professionale.

Quanto al risarcimento del danno, la Corte territoriale, pur ritenendo, contrariamente al primo giudice, che l’eccezione di prescrizione proposta dal convenuto dopo la scadenza del termine assegnatogli ex art. 180 c.p.c., fosse tardiva, ha considerato che gli attori non avevano fornito la prova sulle condizioni di accesso e di frequenza dei corsi di specializzazione, avendo prodotto la relativa documentazione solo in grado di appello.

Per la medesima ragione – attinente al profilo probatorio – il giudice del gravame, ha respinto la domanda di indebito arricchimento.

P.R. insieme agli altri consorti chiede la cassazione di questa sentenza con ricorso fondato su quattro motivi illustrati anche da memoria. La Presidenza del Consiglio e gli altri intimati resistono con controricorso e propongono e ricorso incidentale condizionato per un motivo.

Motivi della decisione

Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi, proposti contro la stessa sentenza (art. 335 c.p.c.).

Va esaminato anzitutto il ricorso incidentale poichè esso pone una questione che, nell’ordine logico, deve esser trattata con priorità, sicchè non deve tenersi conto della dichiarazione di condizionamento.

Con l’unico motivo di tale ricorso, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 156 e 180 c.p.c. si addebita alla sentenza impugnata di aver ritenuto tardiva l’eccezione di prescrizione per superamento del termine di cui all’art. 180 c.p.c., comma 2, non avendo l’amministrazione, costituitasi solo all’udienza di trattazione, sollevato l’eccezione nel termine di venti giorni anteriori a tale udienza, senza considerare tuttavia che per una parte rimasta contumace il termine per sollevare eccezioni non rilavabili d’ufficio non può che coincidere con la prima udienza di trattazione, dal momento che quando l’art. 180 c.p.c., comma 2, dispone l’assegnazione " al convenuto di un termine perentorio non inferiore a venti giorni prima di tale udienza" detta una regola applicabile solo al convenuto costituito, non avendo senso l’assegnazione di un termine ad una parte contumace, senza che in contrario possa invocarsi il principio di concentrazione processuale, stante la tassatività delle regole in tema di decadenze processuali.

Il ricorso è infondato alla luce dell’insegnamento di questa Corte secondo cui ai sensi dell’art. 167 cod. proc. civ., così come modificato dal D.L. 21 giugno 1995, n. 238, art. 3, reiterato e convertito in L. 20 dicembre 1995, n. 534, il convenuto che si costituisce tardivamente decade dalla facoltà di proporre domande riconvenzionali, ma non le eccezioni; tuttavia, quanto alle eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, vige pur sempre il termine perentorio di cui all’art. 180 c.p.c., comma 2, del pari introdotto dalla novella del 1995 (art. 4), onde siffatte eccezioni possono essere proposte, al più tardi, nell’intervallo tra l’udienza di prima comparizione ex art. 180 c.p.c. cit. e quella di trattazione ex art. 183 cod. proc. civ., ovvero nel termine appositamente stabilito dal giudice istruttore (il quale, all’esito dell’udienza di prima comparizione, deve fissare d’ufficio l’udienza di trattazione ed assegnare al convenuto, senza necessità di una sua istanza, il termine perentorio non inferiore a venti giorni prima di quest’ultima udienza per proporre le eccezioni in questione, salvo contrario accordo delle parti o espressa rinuncia al detto termine ad opera del medesimo convenuto, laddove, nel caso in cui quest’ultimo sia contumace, la cadenza delle udienze, con fissazione del termine, è indefettibile, potendo tuttavia la nullità connessa alla mancanza di tale fissazione venire sanata in ragione del fatto che tra l’udienza di prima comparizione e quella di trattazione siano intercorsi almeno i venti giorni richiesti dalla legge), così da restare escluso che le suindicate eccezioni possano essere sollevate nella prima udienza di trattazione o in una udienza a questa successiva. (Cass. 6 luglio 2004, n. 12314).

Con il primo motivo del ricorso principale ricorso è denunziata violazione e falsa applicazione delle direttive del Consiglio 16 giugno 1975 75/362/CEE e delle successive direttive 82/76/CEE e 93/116/CEE nella interpretazione vincolante resa dalla Corte di Giustizia CE con le sentenze 25 febbraio 1999 (Causa C-131/97, Carbonari) e 3 ottobre 2000 (Causa C-372/97) – Omessa e/o difettosa motivazione su punto decisivo della controversia – Violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c..

Si addebita anzitutto alla sentenza impugnata di non aver riconosciuto il carattere di diretta e immediata applicabilità alle tre direttive indicate appena indicate, con le inerenti conseguenze in tema di diritto dei ricorrenti all’adeguata remunerazione. Si addebita poi di aver erroneamente considerato come irretroattivo il D.Lgs n. 257 del 1991, in contrasto con i principi elaborati dalla giurisprudenza comunitaria che considera l’applicazione retroattiva delle misure di attuazione della direttive in questione quale strumento idoneo alla soddisfazione del diritto da esse attribuito.

Si censura ancora la sentenza per aver dato rilievo alle condizioni di maggior impegno previste per gli specializzandi dal D.Lgs. n. 257 del 1991 introducendo una limitazione non contemplata dalla Corte comunitaria e per aver considerato inammissibile in appello la documentazione da cui emergeva il rispetto delle condizioni previste dal cit. D.Lgs. n. 257 del 91.

Con il secondo motivo di ricorso è denunziata violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. in relazione all’art. 184 c.p.c., comma 2, ovvero nullità della sentenza e del procedimento in relazione all’art. 115 c.p.c., comma 1 ovvero omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti, anche in relazione all’art. 2697 c.c..

Sotto diverso profilo, violazione e falsa applicazione della direttiva del Consiglio 16 giugno 1975 75/362/CEE e delle successive direttive 82/76/CEE e 93/116/CEE nella interpretazione vincolante resa dalla Corte di Giustizia CE con le sentenze 25 febbraio 1999(Causa C-131/97, Carbonari) e 3 ottobre 2000 (Causa C-372/97).

Si addebita alla sentenza impugnata l’errore di diritto di aver ritenuto inammissibile la documentazione prodotta in appello diretta a dimostrare le condizioni stabilite dal D.M. 14 febbraio 2000 ai fini della corresponsione delle somme previste dalla L. n. 370 del 1999, art. 11 e di aver rigettato la domanda di risarcimento del danno da mancato recepimento delle direttive comunitarie sul rilievo che gli attori non avevano provato il possesso dei requisiti alla cui prova mirava proprio la documentazione non ammessa dalla Corte d’appello.

I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente per la loro almeno parziale connessione.

Essi sono infondati.

La giurisprudenza comunitaria ha chiarito che l’art. 2, n. 1, lett. c) della direttiva 16 giugno 1975/75/363/CEE (mirante al coordinamento delle disposizioni legislative regolamentari e amministrative per le attività di medico, ed. direttiva "coordianemento") nonchè il punto 1 dell’allegato a detta direttiva, come modificata dalla direttiva 82/76 nell’imporre di retribuire i periodi di formazione relativi alle specializzazioni contengono un obbligo in quanto tale incondizionato e sufficientemente preciso ma al tempo stesso non contengono alcuna definizione comunitaria della remunerazione da considerarsi adeguata nè dei metodi di fissazione di tale remunerazione, trattandosi di in via di principio di definizioni rientranti nella competenza degli stati membri. Il cit. art. 2, n. 1, lett. c) e il punto 1 dell’allegato della direttiva con riferimento al profilo della remunerazione non sono incondizionati perchè non consentono al giudice nazionale di identificare nè il debitore tenuto al versamento della remunerazione adeguata nè l’importo di quest’ultima. (Corte di giustizia sentenza 25 febbraio 1999 Carbonari, in causa C-131/97; parr. 44 e 45; nello stesso senso sostanzialmente Corte di giustizia 3 ottobre 2000 Gozza, in causa C- 371/97).

Inoltre, l’obbligo di retribuzione adeguata dei periodi di formazione sorge solo se lo specializzando abbia rispettato le condizioni di formazione a tempo pieno o a tempo parziale previste nei punti 1 e 2 dell’allegato alla direttiva coordinamento e successive modifiche.

(v. sentenza Gozza, n. 45).

La giurisprudenza di questa Corte ha pienamente recepito dette indicazioni affermando che nei termini indicati dalla giurisprudenza comunitaria, sotto il profilo della remunerazione le direttive in esame non erano applicabili nell’ordinamento prima del loro recepimento avvenuto con la L. n. 428 del 1990 e con il D.Lgs. n. 257 del 1991 (V. Cass. 6 luglio 2002, n. 9842).

Ne consegue che la sentenza impugnata nel ritenere non applicabili le direttive in questione per il suddetto profilo si è pienamente conformata alle indicazioni della giurisprudenza comunitaria e di legittimità, sicchè essa non merita la censura svolta nel primo motivo.

Per quanto attiene poi al problema della produzione documentale, anticipato nel primo motivo ma sviluppato soprattutto nel secondo, la Corte d’appello si è uniformata al principio, stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui nel rito ordinario, con riguardo alla produzione di nuovi documenti in grado di appello, l’art. 345 c.p.c., comma 3 va interpretato nel senso che esso fissa sul piano generale il principio della inammissibilità di mezzi di prova "nuovi" – la cui ammissione, cioè, non sia stata richiesta in precedenza – e, quindi, anche delle produzioni documentali, indicando nello stesso tempo i limiti di tale regola, con il porre in via alternativa i requisiti che tali documenti, al pari degli altri mezzi di prova, devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame (sempre che essi siano prodotti, a pena di decadenza, mediante specifica indicazione degli stessi nell’atto introduttivo del giudizio di secondo grado, a meno che la loro formazione non sia successiva e la loro produzione non sia stata resa necessaria inragione dello sviluppo assunto dal processo): requisiti consistenti nella dimostrazione che le parti non abbiano potuto proporli prima per causa ad esse non imputabile, ovvero nel convincimento del giudice della indispensabilità degli stessi per la decisione.

Peraltro, nel rito ordinario, risultando il ruolo del giudice nell’impulso del processo meno incisivo che nel rito del lavoro, l’ammissione di nuovi mezzi di prova ritenuti indispensabili non può comunque prescindere dalla richiesta delle parti (Cass. Sez. un. 20 aprile 2005, n. 8203).

Anche tale motivo va quindi disatteso.

Con il terzo motivo di ricorso è denunziata sotto diverso profilo, violazione e falsa applicazione della direttiva del Consiglio 16 giugno 1975 75/362/CEE e delle successive direttive 82/76/CEE e 93/116/CEE nella interpretazione vincolante resa dalla Corte di Giustizia CE con le sentenze 25 febbraio 1999 (Causa C-131/97, Carbonari) e 3 ottobre 2000 (Causa C-372/97) – Omessa e/o difettosa motivazione circa un punto decisivo della controversia – Violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. – Violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di risarcimento del danno derivante da omesso e/o te tardivo recepimento di direttive comunitarie nonchè degli artt. 5 e 189 del Trattato CEE. Si addebita alla sentenza impugnata di aver anzitutto giudicato extra petita ( sebbene nell’epigrafe del motivo non vi sia riferimento alla pertinente disposizione del c.p.c.) negando che vi fosse prova dei presupposti del risarcimento laddove il primo giudice aveva rilevato la fondatezza della domanda ritenendo tuttavia di non poter accoglierla per intervenuta prescrizione.

Si addebita poi alla sentenza di non aver individuato chiaramente in generale i presupposti per la responsabilità dello stato per mancato recepimento delle direttiva in generale e quelli riferibili alle specifiche direttive in esame argomento.

Si addebita alla sentenza impugnata di non aver considerato che in materia opera il principio per cui quando una direttiva conferisce ai singoli diritti dal contenuto chiaramente individuabile in base ad essa e sussista il nesso causale fra la violazione dell’obbligo di attuazione e il danno subito dai singoli questi hanno diritto di ottenere dallo Stato il risarcimento.

In particolare, per le direttive in esame, premesso che esse hanno previsto il diritto dello specializzando ad una adeguata remunerazione sia nel caso di frequenza a tempo pieno che in quello di frequenza a tempo definito, si addebita alla sentenza di non aver considerato che se dal 1 gennaio 1983, scadenza del termine di recepimento della direttiva, lo Stato avesse dato ai corsi di specializzazione un assetto conforme alle previsioni comunitarie i ricorrenti avrebbero potuto seguire tali corsi ed ottenere la relativa remunerazione, la cui perdita derivava pertanto dalla omessa realizzazione di ciò che le direttive prevedevano, onde era erroneo e contraddittorio addebitare loro, come aveva fatto il giudice d’appello, la mancata prova della frequenza del corso di specializzazione in modo conforme alle direttive.

Il terzo motivo è fondato nei limiti che seguono.

La statuizione del giudice di merito sulla intervenuta prescrizione del diritto non comporta ovviamente alcuna valutazione di fondatezza della domanda, giacchè ne preclude l’esame. Nè una volta che l’eccezione di prescrizione sia stata accolt

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