Fare le valige per il dottore. È questa il nuovo fenomeno che sta coinvolgendo sempre più
persone in tutto il mondo: pazienti che preferiscono varcare il confine nazionale e curarsi
all’estero. I motivi sono i più diversi: abbattimento dei costi, accesso a pratiche «proibite» in
patria, drastica riduzioni delle liste d’attesa. E poi c’è anche un elemento nuovo: la qualità del
servizio. Andare a farsi curare in Ungheria, Turchia, India non fa più paura. Una ricerca della
società di consulenza Deloitte ha messo in risalto questo fenomeno in espansione. Affronta
oggi il tema il Corriere della Sera.

«Sono i pazienti senza frontiere – esordisce il quotidiano di via Solferino – Per curarsi i denti
vanno in Romania o in Croazia, molti in Ungheria. Per i ritocchi estetici preferiscono la Tunisia.
Se l’intervento è delicato (magari al cuore o alle articolazioni) la destinazione diventa più
esotica: Thailandia, Costa Rica, India, Caraibi. E via così: medicina low cost e belle spiagge,
strutture all’avanguardia e parcelle meno salate di quelle degli ospedali di casa. È il turismo
medico, quello che spinge milioni di persone a mettersi in viaggio verso paesi che garantiscono
cure di qualità a prezzi ridotti».

«Il fenomeno – prosegue l’articolo – esiste già da qualche anno ma è solo adesso che si avvia a
diventare di massa. Merito soprattutto degli americani: un esercito di pazienti orfani di un
sistema sanitario pubblico e sempre più in difficoltà di fronte ai costi delle assicurazioni private
(45 milioni di loro hanno rinunciato ad averne una)
pronto a prendere il largo per difendere la
propria salute. Secondo una ricerca della società di consulenza Deloitte, il numero di cittadini
Usa che si sottopongono a cure mediche all’estero (750 mila lo scorso anno) è destinato a
raggiungere i sei milioni entro il 2010 e i 10 milioni entro il 2012. Un boom che renderà la
sanità sempre di più una questione globale, con conseguenze sia in patria che all’estero. A
cominciare dai soldi: sempre secondo Deloitte, infatti, da qui al 2012 questo mega esodo
potrebbe fruttare ai paesi in via di sviluppo – Asia in testa – qualcosa come 21 miliardi di dollari
all’anno. Una manna per le cliniche dei paesi emergenti, un colpo duro da incassare per il
sistema sanitario Usa».

«In Europa – si legge – il trend è più contenuto, grazie all’assistenza statale, ma il miraggio
della medicina low cost comincia a piacere: nel 2006, ad esempio, quasi 50 mila cittadini
britannici hanno preso armi e bagagli e speso qualche milione di sterline visitando le cliniche di
Turchia, India e Ungheria. E se il risparmio è l’attrattiva principale per i degenti globe trotter
(secondo le stime dei consulenti di Deloitte in media i trattamenti all’estero costano il 15% del
prezzo che un americano pagherebbe in patria per lo stesso intervento) non mancano altri
fattori di scelta, primo fra tutti l’abbattimento dei tempi di attesa».

«In generale – prosegue l’articolo – sono 4 su cento gli europei che si vanno a curare all’estero,
ma sono più della metà quelli che vorrebbero farlo (destinazione Stati Uniti e centri
d’eccellenza europea) senza riuscirci: troppa burocrazia per avere un rimborso, pochi soldi per
andare all’estero pagando. Nonostante questi ostacoli, il nostro servizio sanitario spende 35
milioni di euro all’anno per gli italiani che si fanno curare in altri Paesi europei, 150 milioni se si
aggiungono gli italiani residenti all’estero e quelle necessarie per i turisti. In generale, la prima
molla per l’espatrio sanitario sono le liste d’attesa: troppi 420 giorni per operarsi alla prostata
o un mese per una Tac. Seconda, i prezzi per prestazioni che anche in Italia sono a pagamento
(denti e chirurgia plastica per fini puramente estetici).
Terza, usufruire di tecniche "vietate"
dalle leggi del nostro Paese: la legge sulla fecondazione artificiale ha aperto autostrade verso
centri americani ed europei, ovviamente a pagamento e quindi limitatamente a chi se lo può
permettere. Illegale comprare gli organi da viventi, per esempio un rene: l’India è una meta
per questo tipo di interventi».

«Ma non solo – aggiunge la testata milanese – perché a convincere ai "viaggi terapeutici" è
anche la qualità: se trattamenti estetici e cure dentistiche sono state l’avanguardia del turismo
sanitario (con pacchetti all inclusive di viaggio più soggiorno più trattamento proposti dai
numerosi siti e agenzie turistiche specializzate), oggi il livello di strutture e personale di molte
cliniche dei paesi emergenti è tale che sottoporsi qui ad un’angioplastica o ad un’isterectomia
non mette più paura».

«Numerose quelle negli Stati Uniti – elenca l’articolo – alcune storiche: Mayo Clinic, Pittsburgh,
J. Hopkins, Sloan Kattering e Mount Sinai, Miami per i trapianti di cellule pancreatiche… E così
via. Anche in Italia qualcuno viene: sono 600 mila gli euro che lo scorso anno pazienti stranieri
hanno lasciato nelle nostre casse sanitarie. Ancora troppo poco, ma c’è chi si sta attrezzando
per divenire attrazione: certo occorre investire per promuovere i nostri centri d’eccellenza. Gli
inglesi avevano scelto la cardiochirurgia del Niguarda a Milano per smaltire le loro liste
d’attesa, ma poi si sono orientati verso la Germania».

«Una curiosità – conclude il Corriere – la Campania è al primo posto per l’espatrio dei pazienti,
non solo all’estero. Poi c’è la Sicilia e il Lazio. Il turismo sanitario, in Italia, avviene anche da
Regione a Regione. La Lombardia cura un 30 per cento di extraregionali. I motivi sono vari:
dalle liste d’attesa ai rimborsi che ricevono per le varie prestazioni i medici (i Drg, che variano
da Regione a Regione: se sono bassi per una tecnica questa non è favorita e il paziente
preferisce emigrare nei centri che invece traggono più profitto da quello stesso intervento). Il
mercato della sanità è comunque in continua espansione. E i privati investono, non più solo gli
americani. Il Bumrungrad hospital di Bangkok, un gigante del turismo medico, che nel 2007 ha
prestato assistenza a 33 mila clienti americani, ha appena aperto una nuova ala destinata ad
ospitare seimila pazienti provenienti dall’estero. E il personale medico specializzato, emigrato a
suo tempo negli Usa e in Europa, rientra in patria. Un ritorno dei cervelli che innalza ancora di
più gli standard di cliniche e ospedali, a beneficio anche dei degenti locali».

«La vera qualità – si continua a leggere – è però quella che spinge verso centri d’avanguardia
per trattamenti o non praticati in Italia o non fatti al meglio. Le mete dell’eccellenza: l’ospedale
Saint Louis di Parigi per le leucemie, l’Hammersmith di Londra per i linfomi, l’Unfallklinik di
Hannover (Germania) per la traumatologia e la chirurgia ricostruttiva delle articolazioni e del
bacino, l’università di Rotterdam in Olanda per gastroenterologia ed epatologia (trapianti ed
epatiti virali croniche), Hautepierre a Strasburgo per le malattie rare, Villejuif in Francia per
fegato e vie biliari, l’Erasme a Bruxelles per la sterilità, Creteil in Francia per le malattie virali e
batteriche, il Gustave-Roussy a Parigi per l’oncologia e la pediatria e il Saint Luc di Bruxelles
per i trapianti di ogni tipo. Queste le mete in Europa».

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