“La formazione e la professione odontoiatrica in Europa” è stato il tema di una tavola rotonda nella giornata conclusiva del 19° congresso nazionale dei Collegio dei Docenti di Odontoiatria che si è svolto a Torino dal 12 al 14 aprile 2012. Oltre al presidente dell´Aio, Pierluigi Delogu, all´incontro hanno preso parte: il presidente della Cao, fresco di riconferma, Giuseppe Renzo, il presidente del Collegio dei Docenti, professoressa Antonella Polimeni, il professor Marco Ferrari, presidente della Conferenza dei Presidenti dei Corsi di laurea in Odontoiatria, il presidente del Cic Francesco Scarparo, Bartolomeo Griffa, responsabile gruppo Esteri dell´Andi e Corrado Paganelli, tesoriere del Cedco. A coordinare i vari relatori il professor Enrico Gherlone, referente per l´odontoiatria presso il ministero del Welfare e presidente eletto del Collegio dei Docenti.

La parola che ha accomunato i vari interventi è stata sinergia, lavorare in cooperazione fra associazioni di categoria, Cao e le società scientifiche per la crescita della professione odontoiatrica. Grazie a questa cooperazione si può anche perseguire al meglio lo scopo ultimo dell´odontoiatria: la cura del paziente.

Parlando di sinergia, una grossa mano può venire dal core-curriculum, una delle novità più importanti approvata durante il  19° collegio dei docenti. Grazie a una formazione più simile nei vari atenei italiani, che porti tutti gli studenti italiani ad avere una formazione uniforme e con dei parametri di qualità.  Con l´azione  unitaria di tutte le rappresentanze odontoiatriche  e attraverso una  chiara definizione delle regole formative casi come quello dell´università Pessoa non potranno più succedere.

Gli atenei italiani e quelli stranieri sono stati oggetto dell´intervento  del presidente Delogu: secondo i dati riportati nella relazione, si assiste a un numero costante in Italia di iscritti in Odontoiatria a fare da contraltare gli immatricolati delle università di Spagna e Romania, rispettivamente prima e seconda per numero di studenti all´anno: 2900 e 1500. Per molti dei relatori della tavola rotonda chi sceglie di studiare all´estero non va trattato come un laureato di serie B, soprattutto se ha studiato in corso di laurea abilitante, come quelli offerte dalle 17 università spagnole. Per il presidente dell´Aio, un altro dato preoccupa di più: in Italia ci sono solo 1027 abitanti per dentista, un numero che non può che fare riflettere. Inoltre l´Italia presenta il più alto numero di corsi di laurea  tra tutti i paesi europei facendo distribuire le risorse sia umane che economiche, a disposizione per la formazione degli Odontoiatri, su un numero maggiore di sedi. Un altro aspetto su cui bisogna porre l´attenzione è il numero delle specialità odontoiatriche: sono solo quattro nel nostro Paese e quindi diventa davvero difficile per un giovane orientarsi nella scelta della formazione post-laurea. Per esempio in Gran Bretagna, dove il numero dei dentisti è molto più basso rispetto a quello italiano, le specialità sono ben otto, questo numero secondo il presidente Delogu “permette di avere un indirizzo ben preciso” e soprattutto avere una coscienza professionale ben definita una volta conclusi gli studi.

Al centro della tavola rotonda anche il discusso esame di abilitazione, secondo la maggior parte dei relatori va modificato, ma non eliminato. A doverlo sostenere dovrebbero essere anche chi sceglie di studiare all´estero, secondo il professor Ferrari: “Chi studia in Romania e non supera l´esame di abilitazione dovrebbe fare un anno integrativo alla fine del corso di laurea”, questo discorso non vale ovviamente per i corsi di laurea abilitanti. Con la realtà attuale – il numero sempre in aumento di italiani che scelgono di andare all´estero per finire gli studi – quello della certificazione della formazione diventa un passo obbligato e in tal senso l´esistenza di un core-curriculum può solo aiutare i nostri atenei per combattere, quella che il presidente del Cao Giuseppe Renzo ha definito “il commercio della formazione”, che inevitabilmente sfocia in un “commercio della professione”  ai danni, soprattutto, del paziente.

Chiara Laganà

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