Crescono non solo in Italia, ma in tutta Europa le difficoltà dei giovani odontoiatri nell’aprire uno studio dentistico. E se l’Olanda fosse il termometro del continente, come spesso è, dei neolaureati, solo uno su dieci è intenzionato a lavorare in proprio. I restanti nove partono metà convinti di volere/dovere dipendere da catene o società, e l’altra metà è di“agnostici”, che rinviano la scelta imprenditoriale a quando avranno risorse per il grande salto. Sono i dati di scottante attualità che emergono dal meeting del Council of European Dentists tenutosi ad Atene nei giorni scorsi. Il collegio che fa da consulente per le politiche comunitarie alla Commissione di Bruxelles, guidato dal danese Freddie Sloth-Lisbjerg, e dove siedono i delegati delle 33 associazioni odontoiatriche di 31 stati membri in rappresentanza di 340 mila professionisti, è stato ospite dell’Associazione Ellenica guidata da Athanasios Devliotis. Per Associazione Italiana Odontoiatri, erano presenti i delegati Stefano Colasanto e Pierluigi Delogu. Tre i focus: le elezioni europee, sulle quali il CED ha rinnovato la disponibilità a collaborare tecnicamente e senza preclusioni con lo schieramento politico vincitore; la legislazione da scrivere (specie in tema di digitale ed intelligenza artificiale); e il destino dei giovani odontoiatri nell’era dell’avanzata dei grandi capitali.

«La relazione finale della Task Force on Internal Market si è soffermata soprattutto su un sondaggio dell’EDSA-European Dental Students’ Association. Realizzata su tutte le università europee e aggiornata ad aprile di quest’anno, la ricerca ha dato risultati sorprendenti», dice Pierluigi Delogu, presidente AIO dal 2010 al 2016. «Nella maggior parte dei paesi i docenti non sono valutati dalla professione e, per coprire le materie specifiche, vi è carenza di insegnanti espressi dal mondo universitario. Inoltre, nei corsi di odontoiatria del Vecchio Continente in genere scarseggiano investimenti per una formazione clinica di alto livello. Troppe facoltà di odontoiatria, disseminate in varie sedi, portano ad un numero eccessivo di studenti. Causa limitate disponibilità, la formazione è teorica e poco pratica. Sono pochi i pazienti e gli spazi per la pratica clinica». Risultato: «A fronte del considerevole sforzo economico che lo attende, il giovane non si sente abbastanza competente né pronto, ed è scarsamente motivato a mettersi in proprio».

In questo panorama si innesta il sondaggio realizzato in Olanda, dove il governo mira a ridurre il corso di laurea da 6 a 5 anni. «Solo il 10% dei giovani vuole aprire lo studio, il 45% aspetta tempi migliori e il 45% è orientato a dipendere da società spesso di capitali», dice Stefano Colasanto. «Il timore di cimentarsi in una dimensione imprenditoriale riguarda in realtà tutti i settori produttivi, ma nel nostro si accentua. Il CED è sulle nostre posizioni, non vuole un’odontoiatria dei capitali ma un professionista che si rifaccia a valori etici a tutela della salute del suo paziente. E sta progettando nelle facoltà, o subito dopo la laurea, un mentoring per spiegare ai giovani quale potrebbe essere il modello elettivo di esercizio della professione a fronte delle attività svolte e delle discipline intraprese, così da contemperare scelte deontologicamente valide e soddisfazione professionale. L’Unione Europea, l’Italia e AIO non vogliono un’odontoiatria dove comandano i grossi investitori e i loro capitali».

Nella foto, da sinistra Stefano Colasanto e Pierluigi Delogu.

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