Andrea, sardo, 47 anni, odontoiatra libero professionista: «Purtroppo la malattia avanza e c’è qualche complicazione che mi limita fortemente l’attività lavorativa; l’anno scorso ho avuto un contributo una tantum dall’ENPAM che però è stato insufficiente a coprire le spese di viaggio e cura. So che state lavorando alacremente in tal senso per tutelare coloro che hanno un’inabilità temporanea. Mi pare esista una legge per permettere al malato oncologico di continuare la sua attività lavorativa per quanto gli è possibile, ma per quanto ci riguarda sembra che per avere un sussidio degno di tal nome sia necessario cessare definitivamente l’attività. Mi sembra un’ingiustizia e una mancanza di rispetto per chi ogni giorno lotta per andare avanti. Privandoci di fatto della possibilità di lavorare, viene a mancare uno stimolo fondamentale che può minare fortemente l’autostima rendendo così più difficile anche la lotta nei confronti della malattia. Ci tengo che tu renda pubbliche queste riflessioni perché, come me, altri colleghi stanno vivendo situazioni simili e sarebbe ora si creassero misure più adeguate di sostegno».
> Flavia, dalla Toscana, 35 anni, odontoiatra libero professionista. «Nel Giugno 2014 ho contratto un’infezione meningococcica, dopo 2 mesi di ospedale ho dovuto ricominciare a parlare e camminare, ho timidamente e con fatica ricominciato a lavorare nel 2016, ancora oggi le mie giornate e le mie capacità lavorative sono ridotte ad 1/3 del mio trascorso. Ho regolarmente onorato il pagamento del mutuo, delle tasse, le assicurazioni, le utenze, i farmaci, la riabilitazione. Al mio fianco la mia famiglia e, poi, il sostegno richiesto all’Enpam: erogato solo nel 2016, dopo solleciti bonari e legali, e che, con mia somma meraviglia, scopro, sottoposto a tassazione (la seconda…). La beffa finale, è che, ripresa la mia attività, il contributo sommandosi agli introiti percepiti, mi ha fatto elevare il “reddito” (anche il sussidio, erogato tassato, diviene reddito e quindi, per la terza volta i miei emolumenti previdenziali sono gravati da imposte…) e la relativa tassazione. Ad oggi guardo con timore il futuro e l’invalidità che l’INAIL mi ha riconosciuto non servirà a generare maggiori tutele; mi auguro che l’annunciata introduzione di nuove e cogenti tutele possa al più presto vedere la luce».
Due storie, due testimonianze nate dalla lettura dello stato dell’arte di una riforma equa, per consentire anche al Fondo della Libera Professione di dotarsi di quanto già previsto per gli altri Fondi Speciali; una riforma dovuta che per 3 anni ha atteso ieri l’approvazione ministeriale, oggi un regolamento, rimandato agli uffici affinché si adoperino a produrre una valutazione di sostenibilità economica e a meglio dettagliare alcuni passaggi. Alcuni appunti, rilevo, fanno apparire l’Ente come uno studente con un debito formativo da colmare quando si commenta: «[…] si ritiene opportuno richiamare esplicitamente nel testo l’inabilità a svolgere la professione la cui tutela previdenziale compete alla gestione Quota B.» Se l’oggetto della riforma a cui ci si riferisce titola “Regolamento a tutela dell’inabilità temporanea a favore degli iscritti alla Quota B” perché kafkianamente ri-chiederlo?
Tra gli scritti di Camilleri ce n’è uno meno noto (manca Montalbano) ma significativo assai, titola “La concessione del telefono”, l’autore così ne descrive la genesi: «Nel 1995 trovai, tra vecchie carte di casa, un decreto ministeriale (che riproduco nel romanzo) per la concessione di una linea telefonica privata. Il documento presupponeva una così fitta rete di più o meno deliranti adempimenti burocratico – amministrativi da farmi venir subito voglia di scriverci sopra una storia di fantasia (l’ho terminata nel marzo del 1997). La concessione risale al 1892… ».
Buoni consigli sono difficili da dispensare, buone letture, per gli Andrea e le Flavia che sono tra noi, si possono consigliare.

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