§ – il giudice amministrativo, modificando il proprio precedente orientamento favorevole, formatosi sul presupposto che la formazione del medico europeo dovesse essere qualificata come servizio pubblico, in quanto consistente in un’attività di istruzione svolta dalla pubblica amministrazione per fornire ai partecipanti un’utilità di carattere strumentale, da spendere nell’esercizio della professione in qualunque luogo dell’Unione, ha escluso la configurabilità della giurisdizione amministrativa in materia. È escluso, altresì, che durante la frequenza della scuola di specializzazione possa determinarsi la costituzione di un rapporto d’impiego (pubblico o privato), o di un lavoro parasubordinato (con conseguente riconduzione della competenza al giudice ordinario non in funzione di giudice del lavoro). [Avv. Ennio Grassini – http://www.dirittosanitario.net ]
TAR Lazio Roma – Sez. III bis, Sent. n. 2029 del 05/03/2007.
Omissis
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. I ricorrenti sono tutti medici che hanno conseguito le rispettive
specializzazioni antecedentemente all’attuazione del D. Lgs. n. 257/1991,
che ha recepito la direttiva CEE sulla formazione specialistica a tempo
pieno.
Con il presente ricorso, ritualmente notificato e depositato, essi
rivendicano la spettanza del medesimo trattamento economico previsto per gli
specializzandi nel nuovo regime, sia perché la direttiva comunitaria era in
vigore dal 1982, sia in funzione dei principi di eguaglianza e parità di
trattamento, censurando la posizione assunta dall’Amministrazione non solo
per contrasto con la normativa di fonte comunitaria, ma anche sotto il
profilo dell’eccesso di potere per illogicità, manifesta ingiustizia e
lacunosità.
Essi chiedono quindi, oltre all’annullamento dell’atto impugnato, il
riconoscimento degli emolumenti relativi agli anni di specializzazione non
retribuiti, con interessi e rivalutazione. Si è costituito in giudizio il
MINISTERO DELL’UNIVERSITA" E DELLA RICERCA, resistendo al ricorso.
Con memoria del 21 dicembre 2006 i ricorrenti hanno precisato la domanda
sotto il profilo della quantificazione delle somme richieste.
Il ricorso è stato chiamato per la discussione alla camera di consiglio del
25 gennaio 2007, e quindi trattenuto in decisione.
2. Deve rilevarsi che la pretesa azionata in giudizio esula dall’ambito
della giurisdizione amministrativa.
Questa Sezione, modificando il proprio precedente orientamento favorevole,
formatosi sul presupposto che la formazione del medico europeo dovesse
essere qualificata come servizio pubblico, in quanto consistente in
un’attività di istruzione svolta dalla pubblica amministrazione per fornire
ai partecipanti un’utilità di carattere strumentale, da spendere
nell’esercizio della professione in qualunque luogo dell’Unione (TAR Lazio,
Sez. III bis, 27 giugno 2002, n. 5927; cfr. altresì C.S. VI, 09 febbraio
2004, n. 445), ha successivamente escluso la configurabilità della
giurisdizione amministrativa in questa materia (TAR Lazio, sez. III – bis,
09 luglio 2003, n. 6112).
In questa ottica, da un lato si è escluso che durante la frequenza della
scuola di specializzazione possa determinarsi la costituzione di un rapporto
d’impiego (pubblico o privato), o di un lavoro parasubordinato; dall’altro,
si è rilevato che l’attività prestata nell’ambito del corso è volta a
soddisfare esigenze formative proprie degli stessi medici e manca della
destinazione dello stesso ad una platea indifferenziata di utenti,
necessaria per la configurazione di un servizio pubblico.
Ed anche a voler accedere alla prospettazione di parte ricorrente in ordine
alla disapplicazione della normativa interna, le conclusioni non
muterebbero, alla stregua della posizione assunta dalle Sezioni Unite della
Corte di cassazione con la sentenza 4 febbraio 2005, n. 2203, i cui
argomenti sono già stati condivisi da questo Tribunale (cfr. TAR Lazio, sez.
III – bis, 25 marzo 2005, n. 2148; 18 maggio 2005, n. 3931; 2 maggio 2006 n.
3071).
Questa sentenza muove dalla premessa che, nei casi come quello in esame,
viene in rilievo un diritto soggettivo nascente dalle direttive comunitarie
(come interpretate dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia), e non un
interesse legittimo che presuppone una scelta discrezionale
dell’Amministrazione. Resta quindi esclusa la configurabilità della
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in quanto la Corte
costituzionale ha recentemente dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’art. 33, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, come
sostituito dall’art. 7, lettera a), della legge 21 luglio 2000, n. 205,
ripristinando in materia i previgenti criteri di riparto della giurisdizione
(art. 5 della L. n. 1034/71), i quali escludono la possibilità di attribuire
alla cognizione del giudice amministrativo in sede di giurisdizione
esclusiva un diritto soggettivo che, oltre a non essere inciso
dall’esercizio di un potere discrezionale della P.A., non si ricollega a un
rapporto di concessione di pubblico servizio ed ha comunque ad oggetto un
corrispettivo.
E per mera completezza va infine segnalato che anche il giudice
amministrativo di appello ha, da ultimo, ritenuto che la materia in
questione rientri nella giurisdizione del giudice ordinario (cfr. Cons.
Stato VI, 27 ottobre 2006, n. 6433).
3. Il ricorso non può quindi essere ritenuto ammissibile; ciò neppure se
esso venga inteso come formalmente rivolto ad ottenere la mera declaratoria
dell’obbligo di provvedere sull’istanza, ai sensi dell’art. 2 della L.
205/2000.
Ad avviso del Collegio, infatti, il rimedio introdotto dalla richiamata
norma non è esperibile nel caso in cui il giudice amministrativo sia privo
di giurisdizione in ordine al rapporto cui inerisce la richiesta rimasta
inevasa (cfr. TAR Campania, sez. II, 16 dicembre 2000, n. 4726).
Vero è che la contraria tesi – diretta a configurare l’istituto in questione
come rimedio "di chiusura", esperibile in qualunque caso di comportamento
inerte della P.A. in seguito alla proposizione di un’istanza da parte di un
privato – non sarebbe priva, in ipotesi, di argomenti di sostegno, sia sul
piano letterale (attesa l’assenza di una limitazione espressa in tal senso)
sia sul piano sistematico (in considerazione della valenza generale dei
principi di cui agli artt. 3, 24 e 97 Cost.).
Ma in realtà appare arduo configurare una sorta di giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo sul silenzio: in mancanza di univoche indicazioni
testuali in senso contrario, l’istituto del silenzio deve essere letto in
continuità con la consolidata tradizione giurisprudenziale, che lo ha
configurato come strumento diretto a superare l’inerzia della P.A.
nell’emanazione di un provvedimento amministrativo, a fronte di una
posizione di mero interesse legittimo in capo al cittadino; con la
conseguenza che, in presenza di una posizione di diritto soggettivo, la
tutela giurisdizionale è ammissibile solo attraverso la proposizione di
un’azione di accertamento e/o di condanna davanti al giudice munito di
giurisdizione.
Questa impostazione rimane valida pur dopo la modifica di cui all’art. 2,
comma 5, della L. n. 241/1990 (introdotto dall’art. 2, comma 6-bis del D.L.
14 marzo 2005, n. 35, conv. in legge 14 maggio 2005, n. 80), secondo cui il
giudice amministrativo "…può conoscere della fondatezza dell’istanza".
Si
tratta infatti – come risulta dallo stesso tenore della disposizione – di un
potere e non di un obbligo (cfr. TAR Toscana, sez. I, 22 giugno 2005, n.
3044), che comunque non comporta il mutamento della struttura fondamentale
del giudizio sul silenzio.
Ed anche a voler in ipotesi accedere all’impostazione minoritaria, che
ammette la proposizione del rimedio in questione anche in presenza di
diritti soggettivi perfetti (TAR Lazio, sez. I, 6 maggio 2003, n. 3921), è
evidente che ciò può valere solo ove tali diritti soggettivi rientrino nei
casi nei quali già sussista la giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo.
Non esistono, in realtà, elementi normativi che consentano di sostenere che
la modifica in questione, introdotta con una disposizione sul procedimento
amministrativo, abbia finito col comportare addirittura un nuovo assetto
della giurisdizione, con la creazione di una nuova ipotesi di giurisdizione
esclusiva. A ben vedere, anzi, il legislatore, nel consentire la pronuncia
sulla fondatezza dell’istanza, presuppone con ciò stesso che il giudice
amministrativo abbia giurisdizione sul rapporto controverso. Ne risulta
quindi confermata l’impostazione secondo cui l’art. 21 – bis della L. n.
1034/71 (al quale fa rinvio la nuova disposizione di cui all’art. 2, comma
5, della L. n. 241/90), è una norma che "opera esclusivamente sul piano
processuale, presupponendo e non fondando la giurisdizione del giudice
amministrativo" (C. S. VI, n. 683/2003; cfr. altresì C. S. IV, 2 novembre
2004, n. 7088).
4. Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso va dichiarato
inammissibile.
5. Sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sez. III-bis,
definitivamente pronunciando, dichiara inammissibile il ricorso.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 25 gennaio 2007, con
l’intervento dei signori:
omissis