Nella nostra Costituzione non si parla di fisco se non in due articoli, il 23 e il 53, entrambi disattesi e ignorati. Vediamoli.
L’art. 23 della Costituzione prescrive che “nessuna prestazione personale o patrimoniale, possa essere imposta se non per legge” a garanzia che sia soltanto il Parlamento, come espressione della sovranità popolare, a stabilire nuovi tributi. Ebbene nel nostro ordinamento questo articolo è
stato recepito e attuato dalla legge 212 del luglio 2000 (dopo oltre 50 anni) meglio nota come Statuto dei Diritti del Contribuente che precisa come tassativamente
– in nessun caso le disposizioni costituzionali oggetto dell’art. 23 (fiscali) possano essere modificate da leggi speciali;
– in nessun caso l’adozione di norme fiscali interpretative possa essere disposta se non con legge ordinaria;
– in nessun caso l’adozione di nuovi tributi possa avvenire attraverso lo strumento del decreto legge;
– mai le leggi di carattere fiscale possano avere applicazione retroattiva.
Ebbene mai norme costituzionali e ordinarie sono state più violate di queste!
· L’intero diritto tributario italiano si fonda quasi esclusivamente su decreti legge. Vedi solo l’ultima legge Visco-Bersani e le migliaia di norme emanate dalla Agenzia delle Entrate attraverso minuziose circolari applicative
· La riforma del nostro ordinamento fiscale adottata oltre 30 anni fa per legge delega si sarebbe dovuta completare nel 1972, ma fu invece prorogata e lasciata come cantiere aperto fino alla fine del 1982 con oltre un centinaio di decreti legge, decreti legislativi, ministeriali e della presidenza del consiglio che ne hanno costituito e ne costituiscono tutt’ora fonte normativa.
· Limitatamente alla sola legge sull’IVA i decreti legge emanati dai governi dal 1984 ad oggi ammontano a 178
· La legge finanziaria 2007 del governo Prodi, contenente oltre 100 disposizioni innovative in materia fiscale e contributiva, composta di un solo articolo con 1365 commi, è stata approvata con voto di fiducia senza discussione parlamentare e senza filtro di esame in commissione
parlamentare. Rappresenta una eclatante violazione dello Statuto del contribuente e della Costituzione .
Lo stesso può dirsi a proposito dell’art. 53 della Costituzione che prevede la progressività del prelievo per contemperare pretese dello Stato e capacità contributiva del cittadino.
Questo principio tanto sbandierato dai politici di mestiere è riservato per la legge italiana solo alle persone fisiche mentre sono esentate le imprese soprattutto se grandi e vicine al potere.
C’è poi il problema della tutela del contribuente nelle procedure fiscali: è sufficiente ricordare l’impossibilità per il contribuente di impugnare l’atto accertativo nella fase del controllo formale. L’impugnativa è possibile solo dopo la messa a ruolo, cioè quando lo Stato furbescamente
si è costituito il presupposto per l’immediata esecutività del proprio titolo di credito affermato e vantato senza alcun contraddittorio.
Tutto ciò rappresenta una degenerazione del sistema!
Di fronte ad un cittadino offeso e indifeso nei confronti del potere, non è la banale rassegnazione la strada da seguire. Dobbiamo rivendicare la strada del rispetto del dettato costituzionale (e dell’equità da valersi per tutti), rilanciare e difendere le garanzie a tutela dell’individuo, affermare i principi che sono alla base dell’ordinamento liberale. Dobbiamo, in una parola, promuovere e sostenere una battaglia di civiltà.
( i dati sono tratti dal libro di Oscar Giannino: “Contro le tasse” Ediz. Mondadori 2007 e dagli appunti dell’incontro con l’Autore a Padova il 16 novembre 2007)