{fonte: www.univadis.it}
Una recente indagine ha dimostrato in un campione di medici di medicina generale italiani alti livelli di burn out nel 30% circa dei casi, misurati mediante il questionario Maslach Burnout Inventory che considera tre dimensioni indipendenti della sindrome: esaurimento emotivo, depersonalizzazione della risposta agli utenti e grado di realizzazione personale (5).
Il rischio di burn out per i medici operanti nel SSN è spesso la conseguenza del cronico squilibrio tra richieste degli utenti e risorse personali, tra aspettative di ruolo e compiti effettivi, tra necessità di rispondere, in modo integrato e in tempi utili, a bisogni complessi e difetti di comunicazione tra operatori o carenze organizzative strutturali aziendali (1).
Gli effetti a lungo termine di uno stress lavorativo continuo possono essere rappresentati dal fatto che medici, precedentemente motivati e impegnati a svolgere il proprio lavoro con competenza e partecipazione, manifestino invece demotivazione, disimpegno, distacco emotivo, cinismo, rigidità di pensiero, deficit di assertività sfociante in conflitti interpersonali, destrutturazione del senso di efficacia personale, inadeguata gestione del tempo di lavoro, ansia, somatizzazioni e depressione (1).
Il medico affetto da burn-out è spesso un paziente che vive in solitudine i suoi disturbi, incapace di uscire dal suo ruolo professionale e chiedere aiuto per timore del giudizio dei colleghi.
La prevenzione del burn out si fonda principalmente sulle seguenti consapevolezze ed azioni personali (2):
· Conoscere le proprie motivazioni personali per il lavoro scelto e farlo convinti del suo valore, per se stessi e non solo per gli altri;
· Conoscere e accettare i propri limiti nel lavoro e coltivare aspettative realistiche;
· Collaborare e confrontarsi in modo costruttivo con i colleghi, gli altri operatori e gli utenti;
· Affrontare i problemi cercando le soluzioni realistiche più utili, senza vittimismi e conflitti;
· Gestire il tempo di lavoro organizzato per priorità;
· Trovare un equilibrio tra spazi professionali e privati, tra sacrifici e gratificazioni, in modo da considerare positivo il proprio bilancio finale.
Se il medico non ha cura di se stesso, rischia di non riuscire più ad avere cura degli altri.
Tuttavia, la prevenzione del burn-out non dipende solo dalla pur necessaria personale capacità di gestire le difficoltà (3), ma anche dal grado di realizzazione personale sia in funzione dell’ottimizzazione dell’organizzazione di lavoro e delle qualità motivanti della leadership aziendale (4) e sia in funzione della qualità delle relazioni familiari e sociali.
Diversi studi (5) hanno riconosciuto come fattori protettivi per il rischio di burn-out lavorare insieme a collaboratori (colleghi, infermiera, segretaria), lavorare meno di 40 ore settimanali, avere meno di mille assistiti, lavorare in un contesto urbano, svolgere attività di tutor o docente in medicina generale, avere oltre 50 anni d’età verosimilmente correlabile con aspettative più realistiche sul lavoro, avere figli. Svolgere attività esclusiva di medico di medicina generale sembra essere un fattore protettivo per il rischio di esaurimento emotivo, ma un fattore di maggior rischio per la realizzazione personale.
Bibliografia
1. Baiocco R:“Il rischio psicosociale nelle professioni di aiuto”, Erickson ed
2. Bernstein GS: “Io, operatore sociale – Come vincere il burn-out”, Erickson ed
3. Cyrulnik B: Costruire la resilienza”, Erickson ed
4. Covey SR: “L’ottava regola”, Franco Angeli ed.
5. Padula MS: “Il burn-out nei medici di medicina generale”, SIMG 1 febbraio 2007, 3-9.