«Delle due l’una: o l’intesa raggiunta nei giorni scorsi in Conferenza Stato-Regioni per definire i requisiti minimi per l’autorizzazione all’apertura ed all’esercizio delle strutture odontoiatriche non vale per gli studi odontoiatrici privati, o o probabilmente cadrà sotto la scure del sindacato giurisdizionale, con oneri economici e degni di ben altra causa». Parla Stefano Colasanto segretario Associazione Italiana Odontoiatri di Roma, tra i principali artefici, insieme al Presidente Giovanni Migliano, della normativa che nel Lazio dopo anni di carte bollate e procedimenti giudiziari verso i dentisti disciplina la materia in modo da sollevare i professionisti da indebiti adempimenti. O meglio, sollevava, perché le intese nelle singole Regioni stanno per essere cancellate da nuova burocrazia unificata a livello nazionale. «Ideate –così pare- per rendere più uniformi le norme regionali, le nuove regole richiedono complessi requisiti strutturali generali, impiantistici ed organizzativi per lo studio odontoiatrico e non per quello medico, e questa è la prima singolarità. Requisiti che regione per regione la faticosa trattativa dei sindacati con gli assessori stava per eliminare, nel segno della semplificazione perseguita da questo governo», spiega Colasanto.
Dopo l'intesa siglata in Conferenza Stato-Regioni il 9 giugno scorso, accanto ai requisiti anzidetti, molto dettagliati, per ottenere dalla Regione la possibilità di continuare ad esercitare, l’odontoiatra – non si capisce se in qualunque caso o se in fase propedeutica all'accreditamento– dovrebbe di nuovo produrre un faldone di dodici documenti tra cui: dichiarazione del titolare dello studio, planimetria scala 1:100, documento attestante il possesso dell’immobile, certificato di agibilità rilasciato dal Comune, relazione conformità messa a terra, piano di sicurezza per tipologia di struttura ed anche il certificato antimafia per le società. Colasanto non è del tutto convinto che la normativa sia applicabile. «In realtà il lavoro delle regioni com’è chiaramente scritto nelle premesse dell’atto mirava a definire i requisiti minimi per l’esercizio dell’attività odontoiatrica, non per l'autorizzazione all'esercizio. Già, perché una cosa è l’idoneità di uno studio privato di un professionista odontoiatra a produrre prestazioni odontoiatriche e un’altra è l’autorizzazione degli studi. Quest’ultima per la quale si fa esplicito riferimento agli articoli 8 bis e 8 ter della legge 502 Bindi, attiene solo a strutture dove si fa chirurgia ambulatoriale o diagnostica invasiva, cioè attività “a rischio” per il paziente. Attività quale appunto non è quella dell’Odontoiatra, come ormai riconosciuto da varie sentenze TAR . Si continua purtroppo a dimenticare che l'autorizzazione è obbligatoria solo per ambulatori ed è un primo passo verso l'accreditamento con il Servizio sanitario pubblico».
Ci sono poi errori formali. «Almeno due, gravi. Il primo sta nella volontà di stravolgere con un atto a partenza regionale una legge nazionale, la Bindi, che esenta le strutture odontoiatriche private dagli obblighi autorizzativi, il che è oltre le competenze della Conferenza Stato-Regioni. Il secondo sta nella richiesta di una serie di documenti già in possesso della P.A., che quindi non possono essere richiesti di nuovo, oltretutto andando contro l'attuale criterio di cercare una maggiore semplificazione per aiutare le PMI. Infine suona ben strano che siano colpiti solo gli odontoiatri e mai i medici».
Associazione Italiana Odontoiatri fin dal 2011 ha chiesto al Ministero della Salute di entrare a far parte del tavolo dell’Intesa e di dare un suo parere perché non si facessero pasticci e non si vincolasse la professione burocraticamente (allegato 1). «La nostra associazione ha lottato in tutte le regioni per la semplificazione nel vincoli istituzionali del dentista e per la semplicità del suo rapporto fiduciario con i pazienti e ha ottenuto importanti vittorie nel senso della deburocratizzazione in Lazio. Nel 2013 AIO nazionale ha chiesto alla Fnomceo e alla Commissione Albo Odontoiatri (la quale a sua volta aveva rassicurato i professionisti, ndr allegato 2) di poter dire la sua, di poter spiegare i rischi che si correvano a voler riscrivere le regole senza prima leggere i testi, esponendo alla burocrazia solo i dentisti che si intendevano preservare da chissà quale caos normativo (ora che il pericolo era passato grazie alle loro associazioni di categoria). Da ultimo, lo scorso aprile abbiamo presentato un parere legale (al link: http://www.aio.it/public/uploads/2016/04/1461748447_Autorizzazioni-Regioni.pdf) dove l'Avvocato Maria Maddalena Giungato, esperto di problematiche sanitarie, ribadiva come non solo alcuni precedenti della giurisprudenza amministrativa nazionale ma anche la stessa legislazione dell’Unione Europea sconsigliassero un intervento "regolatorio" che riporterebbe le lancette dell’orologio indietro agli anni Novanta. Dobbiamo purtroppo constatare che in nessuna fase la professione, nelle sue componenti associative, è stata interpellata sulla elaborazione del testo: per contro con strana urgenza è stato velocizzato negli ultime mesi l’iter di approvazione del documento, “passato” con un blitz. E siamo a un documento che sembra apre una serie infinita di aspetti interpretativi che si tradurranno in ulteriori diversi comportamenti nelle varie regioni e confusione per i professionisti e gli organismi di controllo, sempre che gli esiti del referendum di ottobre non spazzino via tutto».
«In ogni caso – conclude Colasanto – AIO è pronta ad agire in tutte le sedi per rappresentare il diritto degli Odontoiatri italiani a non essere penalizzati rispetto ad altri professionisti sanitari e rispetto ai loro colleghi stranieri. Perché non vinca l’Italia dei mille intralci e delle carte inutili su quanto di buono aveva fatto la professione per avvicinare un po’ di più le cure ai pazienti».