03 ottobre 2007
Le assicurazioni contro il rischio professionale sono sempre più un lusso per i giovani medici. La copertura per un anno costa almeno due stipendi al neoassunto, con tutte le difficoltà che ne seguono.
E le cose non vanno meglio per i camici bianchi più ‘anziani’, costretti comunque a spendere un minimo di 5-6 mila euro l’anno. Con premi in continua crescita – in pochi anni sono aumentati del 400% – e le compagnie sempre meno disposte a puntare sui camici bianchi.
A tracciare il quadro è Paolo D’Agostino, docente di Diritto penale all’università di Torino, a margine del Forum "Responsabilità professionale medica in Europa. Sistemi giuridici a confronto", in corso a Roma, e organizzato dall’Associazione ostetrici ginecologi ospedalieri italiani (Aogoi).
L’impennata dei costi, secondo l’esperto, è condizionata dalla ‘pubblicità’ dei casi di malasanità sui media, ma anche dalle poche certezze sul fenomeno. Nel nostro Paese, infatti, mancano dati concreti sul fenomeno e strumenti di monitoraggio affidabili.
Un ‘buco nero’ che fa paura, secondo D’Agostino, alle compagnie assicurative e più ancora a quelle estere ‘riassicurative’, che coprono a loro volta le nostre assicurazioni nazionali e non si fidano della sanità italiana.
"Nel nostro Paese – spiega a D’Agostino – il fenomeno della malpractice è nella media europea: non ci sono più errori, nè più risarcimenti". "Il problema – continua D’Agostino – è che non c’è trasparenza sui dati.
Non ci sono, come avviene in altri Paesi, sistemi di controllo del rischio, condivisi con l’aria medica, che permettono di avere numeri certi e la ‘fotografia’ del rischio di ciascuna categoria. Da noi, anche chi fa monitoraggio non distingue le specialità, ma registra solo se a sbagliare sono chirurghi o altri medici. In pratica c’è una ‘marmellata’ sul rischio del singolo camice bianco e della struttura".
Che fare dunque? Per l’esperto è necessario puntare sulla chiarezza per riconquistare la fiducia delle compagnie assicurative, e incidere così anche sul costo dei premi. "In pratica, per poter avere un ritorno sul controllo dei costi assicurativi, le categorie mediche e il legislatore si devono far carico di accendere la luce sul fenomeno", conclude D’Agostino.