Gli “studi di settore” si suddividono in tre categorie: definitivi (sottoposti o meno a revisione), sperimentali e monitorati. Ciascuno di essi produce una differente ripercussione ai fini
dell’accertamento e dei controlli.

Gli odontoiatri sono stati finora interessati dall’applicazione degli studi di settore nella versione “monitorata”. Una versione che non consentiva di effettuare accertamenti fiscali fondandoli sui risultati dello studio. I risultati che esprimeva lo studio in questione (in termini di scostamento dai dati dichiarati) potevano essere utilizzati solo per la scelta dei contribuenti da sottoporre a controllo con le altre ordinarie metodologie a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria.

L’accertamento da studi di settore, nei confronti dei soggetti destinatari di studi “monitorati” (odontoiatri) e risultati non congrui, risultava possibile per il Fisco soltanto dal momento del loro “esser divenuti definitivi”.

Dall’anno 2007, periodo d’imposta 2006, alcuni studi di settore, tra cui proprio quelli applicati agli odontoiatri, hanno trovato applicazione definitiva (e non più monitorata), conferendo al Fisco potere di accertamento fondato, come detto, anche sui risultati dello studio. Ne deriva che le attività di controllo relative ai periodi di imposta precedenti dovranno tenere conto delle specifiche regole esistenti fino a quel periodo.

In particolare, della regola dei due periodi d’imposta “non congrui” su tre consecutivi, abrogata dalle disposizioni della manovra estiva del 2006. Viene comunque affermato che il requisito della “non congruità” emergente dall’applicazione degli studi monitorati, dovrà essere confermato, in relazione al periodo oggetto di controllo, anche dalla versione 2007 di Gerico (software studi di settore). In sostanza, dice il Fisco, occorre applicare lo studio definitivo per il passato, quando vigeva il monitoraggio dello stesso. Viene evidenziato, però, che nell’applicazione dell’ultima versione di Gerico, gli Uffici non potranno tenere conto dei maggiori compensi che derivano dai nuovi “indicatori di normalità economica” previsti dalla Finanziaria 2007, i quali trovano applicazione solo dal periodo d’imposta 2006.

Nella Legge Finanziaria 2008, ancora in fase di approvazione, sono state inserite anche alcune ulteriori modifiche al funzionamento e all’efficacia degli “studi di settore”. Il Legislatore sembra orientato a richiedere espressamente, per legittimare l’accertamento da studi di settore, che si verifichi un’incongruenza “grave” tra i ricavi o i compensi dichiarati dal contribuente e quelli
desumibili dagli studi di settore.

Il Legislatore, in altri termini, conferisce (o meglio conferirebbe) ai risultati degli studi una presunzione semplice, richiedendo, nel contempo, anche la presenza di gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli derivati dagli studi stessi, al fine di poter procedere all’accertamento fiscale basato sugli studi.

Ai risultati degli studi di settore, dunque, verrebbe conferito il rango di presunzioni semplici che, in quanto tali, non sarebbero di per se sufficienti per legittimare un controllo fondato su di esse. A supporto di quanto affermato, ritengo utile aggiungere alcune considerazioni in merito alle posizioni espresse dai diversi soggetti a vario titolo interessati.

L’Agenzia delle Entrate, ad esempio, non ha espresso al riguardo una posizione lineare: le circolari
susseguitesi hanno dato la sensazione di cambi di rotta continui. Chi, viceversa, ha portato un
significativo contributo per individuare la portata presuntiva degli studi di settore è stata la
giurisprudenza delle commissioni tributarie.

La Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Macerata, per esempio, ha asserito che il ricorso alla presunzione che nasce dallo studio di settore deve sempre concorrere con la dimostrazione dell’esistenza di gravi incongruenze tra quanto dichiarato e quanto si desume dalla specifica attività. Con la conseguenza che lo studio di settore costituisce un utile parametro per l’accertamento del maggior reddito ma solo in concorso con la dimostrata grave incongruenza che rappresenta la ragione per cui si ricorre allo studio di settore.

Anche secondo la CTP di Milano occorre che nell’avviso di accertamento, oltre ai ricavi determinabili sulla base degli studi di settore, venga affermata e motivata l’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli determinabili con gli studi di settore.

Oltre alle Commissioni Tributarie Provinciali, si sono pronunciate in favore dei contribuenti, anche le Commissioni Tributarie Regionali. Per la CTR Puglia, gli studi di settore risultano inidonei da soli a
garantire presunzioni di maggior reddito gravi, precise e concordanti. Nello stesso senso si è
pronunciata la CTR Piemonte.

Tutte queste pronunce affermano, in sostanza, che i risultati di Gerico non sono di per se sufficienti a legittimare l’accertamento, in quanto c’è una precisa disposizione vigente, l’art. 62 del DL 331/93, che richiede anche la grave incongruenza tra i ricavi dichiarati e quelli derivanti dagli studi. Grave incongruenza che, secondo gli esperti de Il sole 24 ore, avrebbe la funzione di personalizzare l’accertamento, calandolo nella singola realtà, richiedendo agli Uffici un ulteriore sforzo di adattamento tra il dato derivante dagli studi di settore e la concreta fattispecie relativa al contribuente.

Mi sembra di poter azzardare come conclusione che c’è la volontà del Legislatore di prestare
maggiore attenzione ai contribuenti, imponendo in non pochi casi un’inversione dell’onere della
prova: dal contribuente al fisco! Se tale conclusione non dovesse essere suffragata dalle citate e
annunciate modifiche normative, emerge sicuramente la concreta possibilità di far valere le proprie
ragioni (laddove ne ricorrano i presupposti) dinanzi alle commissioni tributarie competenti.

Pasquale Frattasi
Dottore Commercialista – Revisore dei Conti
Consulente AIO – Caserta
pfrattasi@libero.it  
Capua (CE)

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