In Italia opera un Odontoiatra ogni mille abitanti, la media dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è uno ogni duemila: i professionisti che esercitano sono troppi, e il numero chiuso – che pure fu l’Odontoiatria a inaugurare con l’estromissione dal corso di chi non superava tutti gli esami del primo biennio– non funziona più.  Se contiamo i ricorsi e i rimpatri di neolaureati all’estero (che hanno evitato lo scoglio del test d’ingresso) l’Italia ogni anno si ritrova in questo periodo il doppio del fabbisogno ed è il paese che esporta odontoiatri, un po’ come accade in Brasile per i calciatori. L’esperienza del numero programmato è dunque, in tutto o in parte, da rivedere. E’ in sintesi il contenuto della relazione di Pierluigi Delogu Presidente Associazione Italiana Odontoiatri al 4° Congresso politico tenuto a Roma il 22 novembre scorso, di cui riportiamo le slide in allegato.

All’impegno quotidiano dei 59 mila dentisti italiani fa da contraltare la carenza dello Stato nel programmare le cure, oltre che i contenuti della formazione e l’accesso ai corsi di laurea. Dei 120 miliardi che nel nostro paese ogni anno si spendono per la salute sommando spesa del servizio sanitario e dei privati (mediata o meno da assicurazioni) sono otto i miliardi dedicati alla spesa odontoiatrica e di questi otto ben sette sono sborsati dalle tasche di privati, all’Odontoiatria è dedicato un centoventesimo di tutta la torta.

Contenuto del corso di laurea, accesso alla professione, alleanza istituzioni-odontoiatria per produrre dati epidemiologici degni di questo nome sono le tre priorità di base indicate da Delogu, riforme apparentemente a costo zero da attuare. Contestualmente, occorrerebbe pensare a interventi mirati sul rapporto dentisti-cittadini e in particolare le fasce deboli.

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